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Riflessioni intorno all'esperienza 'ecologica' di Cascina Rossago
Questo scritto prende spunto dal dodicesimo capitolo, avente come titolo "Fra la Terra e Marte. Riflessioni intorno all'esperienza ‘ecologica' di Cascina Rossago", presente all'interno del libro "Autismo. L'umanità nascosta" scritto a più mani ed edito da Einaudi nel 2006. Ho letto molti libri sull'argomento, d'altra parte la produzione sul tema è enorme, qualcuno è arrivato a sostenere che ormai gli scritti sull'autismo sono più dei soggetti colpiti da questo disturbo, ma questo libro ha qualcosa in più, l'intensità e la profondità con le quali è stato scritto, e che trasmette, è particolare. Probabilmente ciò dipende dal fatto che una delle autrici, Ucelli S2., è essa stessa un genitore di un ragazzo autistico, psichiatra e professoressa presso l'Università di Pavia. Questa condizione l' ha portata ad approfondire, con particolare vigore, sia la letteratura scientifica che i progetti di intervento che, nel tempo, venivano proposti come risposta a questa condizione. Nel tempo ‘molto recente' che è passato dal famoso articolo di Leo Kanner scritto nel 1942 e pubblicato in Italia solo nel 1989, è ormai risaputo che si sono spese più energie a litigare, ed a dividersi, sull'eziologia di questo disturbo che a cercare conferme sull'esito, oggi empiricamente dimostrabile con il criterio EBP3, degli svariati interventi che venivano effettuati da più parti. L'autismo è un caso lampante di come le teorie possano incidere sulle pratiche, si è passati dall'autismo considerato come un sintomo di psicosi infantile, o di schizofrenia precoce (Bleuler, 1911), e quindi curato con approccio dinamico o medico-farmacologico, all'autismo considerato come patologia a sé e disturbo su base neurologica, con un quadro sindromico e comportamentale prodotto da particolari deficit in tre aree specifiche (triade)4, come evidenzia il DSM-IV-TR5, e curato soprattutto con tecniche cognitivo-comportamentali.
Si è passati da interventi che prevedevano ‘solo' la psicoterapia dinamica, anche su bambini, ad interventi di tipo esclusivamente comportamentale (Lovaas, 1966)6 che, basandosi sulla teoria
del condizionamento operante (Skinner)7, sottoponevano i piccoli pazienti a ‘tour de force' (40 ore settimanali) di riabilitazione finalizzata all'acquisizione delle autonomie adattive di base.
Oggi, anche se ancora convivono entrambi questi estremi, sono ormai in uso interventi che mediano tra l'esigenza di un recupero precoce di abilità effettuate con tecniche cognitivo-comportamentali e l'esigenza di un sostegno affettivo relazionale con modalità e tecniche di psicologia dinamica.
Il capitolo in oggetto non affronta propriamente questa materia, avendola discussa in altra parte del libro, si sofferma ad esporre, con ampio riferimento al dibattito teorico, la prima esperienza italiana relativa ad una comunità che risponde alle caratteristiche delle ‘Farm Community', comunità residenziali situate in ambiente agricolo. Esperienza che, facendo propri tutti gli sviluppi del dibattito a cui abbiamo fatto cenno, ne ha visto mettere in pratica gli esiti superando i molti preconcetti teorico-ideologici che non avrebbero permesso, in primis, l'uso della ‘multimodalità' come tecnica di intervento e, come secondo, di superare il teorema dell' ‘inclusione' che un contesto ecologico-agricolo mette duramente a prova.
Il capitolo mette in evidenza immediatamente i due aspetti, e presupposti, che, oltre a definire il quadro nel quale si è mossa questa esperienza, devono essere assunti come base per tutti gli interventi nell'ambito di questo disturbo.
Il primo è rappresentato dalle peculiarità, dalle caratteristiche, dei deficit del soggetto autistico e dagli stili comportamentali che li contraddistinguono8 e che li pongono in una situazione di totale dipendenza dall'ambiente.
"La realtà per una persona autistica è una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti, ordine o significato. Gran parte della mia vita è stata dedicata al tentativo di scoprire il disegno nascosto di ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate, percorsi e rituali specifici aiutano a introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica." (Therese Jollife, in Grandin 1995)
La stessa Temple Grandin9 raccontava ad Oliver Sacks di sentirsi da sempre, rispetto al mondo interumano, "un antropologo su Marte".
E' importante sottolineare che non si tratta "solo" di deficit sensoriali, anche se cumulativi, ma il prodotto di una disfunzione dei pre-requisiti innati e pre-programmati dello sviluppo della relazionalità e dell'intelligenza sociale. Il comportamento dei soggetti autistici è il risultato della loro "Embodied Mind"10, ‘mente incarnata', (Varela, Thompson, Rosh, 1992)
e della loro "Enactive Mind"11 , ‘mente inattiva', (Klin, Jones, Shultz, Wolkmar). L'autismo in quanto disturbo olistico ha un effetto circolare e perverso con la realtà vissuta, è necessario intervenire e spezzare questa circolarità.
Il secondo aspetto è legato ad un assunto che potrebbe sembrare, a prima vista, banale: i bambini autistici…diventano adulti, e non adulti qualunque…autistici.
Quando si parla di autismo si pensa ai "bambini", forse perché la diagnosi è precoce, d'altra parte la categoria nella quale il disturbo è inserito nel DSM-IV-TR è quella dei "Disturbi Pervasivi dello Sviluppo". Purtroppo di autismo non si guarisce ed abbiamo a che fare con una popolazione di adulti autistici sempre più in aumento.
A tal proposito è importante inoltre ricordare che se si parla solo oggi, e sempre più, di ‘adulti con autismo', e si discute su cosa fare, è perché le prime diagnosi di questa patologia sono figlie del DSM III (1980) e, quindi, relativamente recenti. Ancora oggi, in Italia, in parte per la difficoltà insita nella diagnosi, ed in parte per le posizioni ideologiche sopra ricordate, autismo/psicosi, l'autismo viene ancora diagnosticato come DGS non Altrimenti Specificato incluso l'Autismo Atipico.
Gli adulti con autismo di cui parliamo rappresentano la prima generazione di soggetti autistici adulti riconosciuti come tali. E' facile dedurre che gli sfortunati che li hanno preceduti, ed a noi invisibili, considerati psicotici, saranno finiti in qualche istituto o lasciati in carico alle famiglie.
Il capitolo, fatte queste premesse, comincia con questa domanda:
"L'autismo, in sostanza, non è ‘solo' infantile. Non per nulla l'aggettivo è scomparso dal DSM. Il problema della progettazione, di interventi e contesti adeguati va affrontato e pensato, quindi; in un ottica di ciclo di vita."…(pag. 120) "Ma se l'autismo dura tutta la vita, che cosa vuol dire pensare l'autismo nell' ottica del ciclo di vita, quali possono essere i luoghi, i contesti, i dispositivi di intervento adatti non a ‘bambini', ma ad adulti diventati grandi con il loro autismo, in grado di garantire e rispettare il loro diritto ad una ‘adultità', sia pure autistica? Idonei a favorire, per quel tanto che è possibile, una progressiva emancipazione dalle loro provate famiglie, in attesa oltre che in preparazione di quella separazione definitiva che, inevitabilmente, comunque verrà?".(pag. 174)
La risposta a questa domanda, se partiamo da quello che avviene nella realtà italiana, non può che mandare nello sconforto più totale le famiglie di questi pazienti. Basta girare in qualche Istituto Tecnico o Professionale, in quelli che hanno il coraggio di accoglierli, per notarestudenti un po' strani che corrono per i corridoi inseguiti dall'insegnante di sostegno che non sa che pesci pigliare.
"Di fronte all' adolescente autistico e ai suoi genitori si apre il vuoto: di prospettive esistenziali, conoscitive (fino a pochi anni, fa, simbolicamente, non era riconosciuta neppure la diagnosi, per quel che, riguarda gli adulti), di contesti e dispositivi di intervento pensati in un'ottica evolutiva."( pag. 122)
Quando viene riconosciuta l'invalidità e viene dato loro un sussidio, lo stesso, viene speso per pagare un altro collaboratore di sostegno che farà fare a questi ragazzi le attività più strane ed inefficaci sul piano terapeutico (piscina, ippoterapia, laboratori di ceramica, etc..), tutte attività con una ‘funzione di intrattenimento', quando non vengono inseriti in ‘asili per grandi che non riescono a crescere'.
"Ciò che spesso si sviluppa, nei genitori, è un'identificazione massiccia con gli aspetti che non possono crescere del figlio, sentito come impossibilitato a sopravvivere tout court alla cessazione della protezione dei genitori."(pag. 122)
Sempre di più i genitori preoccupati da questa situazione costituiscono associazioni, o fondazioni, con l'obiettivo del ‘dopo di noi'.
"…‘Spero solo di morire un minuto dopo di lui' è una frase che abbiamo sentito pronunciare innumerevoli volte."(pag. 122)
"Tutto questo fa parte del resto del ‘vuoto', del vero ‘buco nero' che si apre davanti alle persone autistiche e alle loro famiglie al termine dell'età evolutiva e che alimentano fenomeni di abbarbicamento patologico."
Si pensi che negli Stati Uniti la diagnosi di disturbo autistico dà diritto alla presa in carico totale da parte della sanità pubblica dei pazienti che vengono inseriti in un programma di riabilitazione particolare, il ‘TEACCH'12.
In Italia ci si è lavati la coscienza con una legge, la 517/7713, che, prevedendo l'integrazione scolastica obbligatoria, cancellava di fatto un problema che urtava le coscienze ‘ideologicamente'
più sensibili, di fatto passava il cerino in altre mani, quelle dei parenti più prossimi. Ricordiamo, a proposito, che in questo clima politico ha visto la luce anche la legge 180/7814, scritta con la stessa logica, e che ha prodotto gli stessi esiti.
Ma…"L' ‘integrazione' non basta predicarla e ‘volerla' perché si realizzi; in particolare per condizioni difficili come quella autistica…"(pag. 175)
"E' possibile immaginare, per persone adulte autistiche, contesti che mantengano una tensione abilitativa adatta alle varie fasi della vita, che non siano dei generici contenitori di disabilità, magari dignitosi e pietosi…"(pag. 174), dove l'integrazione risponde più ad esigenze organizzative e coarta la crescita e lo sviluppo dei soggetti autistici.
Gli autori, assolutamente progressisti, consci delle critiche alle quali sarebbero stati sottoposti presentando il progetto da loro attuato, mettono al ‘centro' del loro lavoro la serietà ed il rigore scientifico profuso nella ricerca di possibili interventi contro le facili soluzioni della ‘psicolologia ingenua', spesso a forte connotazione ideologica. Vi deve essere una consapevolezza: "… proprio per la sua natura, per le sue caratteristiche intrinseche, 1'esperienza autistica costituisce una sorta di ‘limite estremo' della riabilitazione psichiatrica, sul quale le tradizionali procedure e i generosi tentativi ingenui di chi non conosce bene questa condizione si infrangono e spesso producono danni." (pag. 176)
Prima di passare all'esposizione dell'ultimo step dei presupposti che hanno portato gli autori a condividere, prima sul piano teorico e poi concreto questa esperienza, ci sembra necessario sottolineare che stiamo parlando dell' autistico adulto: "I bambini autistici, da grandi, qualunque sia il tragitto evolutivo che hanno fatto, gli interventi ricevuti, le competenze acquisite, i cambiamenti anche importanti e talvolta fondamentali per la qualità della loro vita, non diventano persone con patologie diverse (psicosi, disturbi, narcisistici di personalità, ritardo mentale semplice, ecc)…Tutte le evidenze di cui disponiamo, in particolare quelle provenienti dagli studi di popolazione, testimoniano che in più del 90% dei casi diventano adulti autistici.(…) E per tutta la vita l'esistenza autistica continua, in modi diversi, a declinare le sue forme, quel suo strano
impasto di grave disabilità sociale, intensità, sprazzi di capacità, che da sempre ha affascinato letterati e immaginario collettivo." (pag.119)
A questo proposito le descrizioni della Temple Grandin e di altri soggetti autistici ad ‘alto od altissimo' funzionamento sul loro stare al mondo devono rappresentare, anche per i più scettici, prove inconfutabili sulla prognosi del disturbo, soprattutto per i meno dotati, e fortunati.
"L' autismo è una condizione assai eterogenea e anche gli esiti sono diversissimi.(..)La maggior parte avrà bisogno, per esprimere la propria umanità, di ambienti facilitanti e protetti.(…) Vi sono alcuni ‘grossolani' predittori tradizionali di esito, sostanzialmente confermati: quoziente intellettivo (Q.I.), e presenza di linguaggio comunicativo a cinque anni. La prognosi dei soggetti con ritardo mentale importante è quasi invariabilmente quella di una scarsa autonomia; quella del circa 20% di persone autistiche senza ritardo è la più varia, ma tra queste solo circa il 20% a sua volta raggiunge una qualche effettiva autonomia." (pag. 123)
Ma eccoci all'ultimo step, al totem dell'inclusione in ambiente urbano. Qualcosa abbiamo già detto, quando il paziente è ancora in carico all'NPI, e in situazioni privilegiate di funzionamento dei servizi assistenziali, l'offerta che riceve è frammentata e intrattenitoria, ciò prosegue anche dopo con la presa in carico del ‘disabile' da parte sei servizi sociali: "Da parte dei ‘professionisti della disabilità', per continuare a garantirsi il business dell' assistenza al disabile, offrendo un ventaglio di interventi ‘inclusivi' la maggior parte delle volte del tutto parziali e inefficaci e che ritardano talvolta in modi irreparabili il percorso di autonomizzazione vera dalle famiglie, che deve viceversa iniziare il più presto possibile.
(…) Signora, ma aspetti ancora un po'… suo figlio ha solo trent' anni … perché non lo manda qualche ora al centro diurno x e poi da me a fare attività cognitiva y… qualche volta potrebbe poi dormire, se proprio non ce la fa, nella struttura z…". (pag. 178)
Ci troviamo di fronte all' ‘ipocrisia dell'integrazione urbana' delle persone adulte autistiche. Spessissimo ci si trova di fronte al loro isolamento, alla loro ‘manicomializzazione a domicilio', con emarginazione terribile e sostanziale. Spessissimo, il soggetto autistici, poiché è ‘amichevole-passivo'15 non aggressivo, diventa, bambino o adulto, un ‘pachettino' da portare da un Centro socioeducativo ad …altre attività.
Le critiche a questa situazione, abbastanza paradossale, che da noi, solo oggi, cominciano a trovare spazio, negli USA ebbero inizio ben dal 1991. Bernard Rimland, uno dei massimi studiosi di questo disturbo, scrisse una serie di articoli che partendo dalla critica alle ‘comunità urbane' sosteneva che:
"The word ‘community' needs careful examination. It derives from ‘common', and implies a degree of coherence, shared interests and concerns that is today rarely found in urban environments."……
La critica di Rimland non era distruttiva, egli non pensava affatto che altre soluzioni, groupes homes,contesti familiari, grandi istituti, fossero tutte da chiudere, ma neanche che, per rispondere al movimento di de-istituzionalizzazione, portato avanti fin dagli anni'70 negli USA dal Dottor Seymour della Yale University, dovessero essere considerate le uniche soluzioni perché legate al teorema dell'inclusione. Rimland mette in luce i limiti della ‘mythical community' urbana, facendo anche esempi reali sull'attuale qualità della convivenza in città.
Rimland basava la sua critica anche sulla base delle visite che nel frattempo aveva fatto a due Community Farm, Bittersweet Farms in Ohio e Rusty's Morningstar Ranch in Arizona, visite che gli avevano dato lo spunto per scrivere un articolo dal titolo ‘The Non-Urban Alternative'16.
Le farm communities visitate da Rimland erano il prodotto di un movimento, nato negli anni '70, di impronta anti-istituzionale e di ribellione al terribile destino manicomiale che condannava, allora, come unico sbocco, le persone adulte autistiche. Le prime farms per autistici, presero spunto dai Camphill Villages17 nati nei primi decenni del secolo scorso nell'ambito della pedagogia utopistica steineriana.
Nel 1974 Sybil Elgar inizia in Inghilterra l'esperienza di Sommerset Court. Dunfirth, in Irlanda, fu inaugurata nel 1982. Nello stesso anno aprì Ny Allerodgard in Danimarca, e l'anno successivo Bittersweet Farms in Ohio e La Garriga, in Spagna. Nel 1987 seguirono il dottor Leo Kannerhuis in Olanda, e La Pradelle in Francia. Hof Meyerwiede, in Germania, è del 1988 ed il Carolina Living and Learning Center nasce all'interno del programma TEACCH dell'Università del North Carolina nel 1990. Numerose altre iniziative sono poi sorte, sia negli Stati Uniti (Indiana, lowa, Florida) sia in Europa.
Questa soluzione recentemente è stata confortata da uno studio condotto dal gruppo di Schopler18 sull'efficacia in diversi contesti di interventi improntati al sistema TEACCH. Sono stati recentemente confrontati i risultati ottenuti in una farm community (il Carolina living and Learning Center) con quelli ottenuti in altri 3 setting di controllo (group homes, famiglie, istituti): i
risultati ottenuti nel primo contesto sono significativamente superiori nelle aree della comunicazione, dell' indipendenza, della socializzazione, della capacità di pianificazione, della gestione dei comportamenti; il contesto "farm" inoltre si dimostra molto più piacevole come luogo di vita per gli ospiti, e le famiglie sono significativamente più soddisfatte.
Ma vediamo quali sono, pur nella diversità delle singole esperienze frutto di culture e percorsi diversi, le caratteristiche comuni che permettono di considerare tutte queste esperienze valide e capaci di produrre un valido e replicabile protocollo di intervento capace di rispondere, in modo innovativo, alla situazione degli ‘adulti' autistici.
In tutte queste esperienze la relazione degli ospiti con i membri dello staff, i maestri d'opera e i volontari, è molto importante. È attraverso di essa che vengono sviluppati e monitorati i programmi di inserimento lavorativo, di sviluppo delle autonomie e di cura della quotidianità. Membri dello staff e maestri d'opera funzionano costantemente da "facilitatori" della comunicazione, dell'apprendimento e dello sviluppo di socialità, lavorando fianco a fianco con gli ospiti, senza mai sostituirsi a loro sempre nella prospettiva dello sviluppo delle loro capacità e del potenziamento delle loro soggettività. In genere il rapporto numerico operatori-utenti è molto elevato.
Credo che a questo punto sia necessario sottolineare quanto, oltre ad un contesto ecologico che favorisce la generalizzazione dei risultati ottenuti con altri interventi psicoeducativi ad impostazione cognitivo-comportamentale, ci sia di innovativo in questo approccio che i promotori di "Cascina Rossago" a Pavia hanno etichettato come " multimodale19contestualizzato":
"Per indicare la molteplicità di piani che chiama in causa, spesso intrecciati in maniera complessa (come del resto avviene nella vita di tutti) e la continua contestualizzazione e riflessione contestuale che richiede."(pag. 204)
Fin qui abbiamo compreso come l'esperienza delle farm communities possa offrire un ‘luogo di vita degna e significativa' per persone adulte, di per sé già importante ma non sufficiente per chi
ha la presunzione di produrre un cambiamento significativo nelle persone colpite da questa sindrome anche se adulte.
Allora dobbiamo sottolineare quali sono i fattori terapeutici, il valore aggiunto, la novità e l'originalità dell'intervento in oggetto.
L'esperienza Rossago oltre a rappresentare un superamento dell'effetto destorificante dell'istituzione, che in Italia per fortuna viene ancora proposta solo in casi rari, proprio partendo dall'enorme fragilità dell' ‘esperienza del sé', presente in questi soggetti, propone un contesto in cui la situazione non è ne frammentata ne caotica, ma coerente e misurata tesa a favorire i processi introiettivi e di identificazione, processi sostenuti da un contesto che prevede un' alta coerenza complessiva dell'esperienza comunitaria e del pensiero che vi si sviluppa e favorisce l'apprendimento di diverse capacità, esperienza centrata sulla valorizzazione delle singole soggettività ed immersa in un contesto molto attento al contenuto ‘terapeutico' delle relazioni intersoggettive. Si respira una carica emotiva ed una tensione permanente pur nella routine della quotidianità dell'esistenza.
Gli autori ricordano che:"I principi ispiratori di questo progetto che avviene in un contesto ecologico prevedevano: connessione costante tra cura delle abilità (dimensione tecnica e psicoeducativa dell'intervento), progetto esistenziale complessivo, cura del contesto di vita e del sistema di relazioni. Un altro principio fondamentale era la strutturazione costante delle attività e degli interventi, che sono organizzati su tutto 1'arco della vita di comunità: la cura quotidiana di sé, il lavoro, le attività ludiche, cognitive o espressive. Tutti i programmi dovevano essere commisurati sulle abilità e sulle caratteristiche dei singoli ospiti, che non sono solo il loro profilo di abilità/disabilità, ma richiedono una comprensione anche personologica."(pag. 199)
Si sta parlando della necessità di basare ogni percorso ed ogni intervento su di una ‘analisi funzionale'20, in itinere, del profilo di ogni ospite che ne evidenzi la coerenza e ne esalti le ‘zolle di abilità'.
Proprio questo contenitore collettivo così aperto, dove si respira libertà, ma così strutturato ed organizzato rassicura e permette un movimento di avvicinamento-allontanamento, un'oscillazione
dalla dimensione autistica a quella della socialità; non solo non coarta, ma anzi consente l'espressione della soggettività delle persone autistiche…contenitore di pensiero in presenza di un'atmosfera affettiva e vitale che deve funzionare senza crepe e vuoti, che, per le persone autistiche sono sempre degli autentici buchi neri. Ciò produce una sorta di "corrente motivazionale" che ha a che fare con una certa "competenza del Sé", con l'esperienza di essere "soggetto agente" in un contesto interpersonale e anche di provarne piacere.
"Se dovessimo riassumere in una battuta le caratteristiche delle attività di Cascina Rossago diremmo così: qui non c'è ‘ergoterapia', si fa lavoro vero (commisurato alle capacità), con un senso immediatamente riconoscibile; non c'è ‘ludoterapia', si gioca, si fa sport e ci si diverte; non c'è pet therapy, si allevano animali, si sta con loro, li si monta, ecc.; non c'è musicoterapia, c'è un laboratorio dove si insegna a far musica e a relazionarsi all'esperienza musicale, e così via. Che
poi tutto ciò produca ‘effetti terapeutici' o progressi misurabili in varie aree ci fa piacere ed è sicuramente importante. Ma è un altro discorso." (pag. 204)
Stiamo assistendo ad un intervento ‘multimodale' che unisce tutta la strumentazione che proviene dalla tradizione cognitivo-comportamentale di intervento sulle disabilità con le caratteristiche specifiche dell'autismo e con quella capacità di modulazione relazionale e sintonizzazione sulla dimensione affettiva degli scambi che è il portato della tradizione dinamica.
"Insomma, non c'è alcun miracolo, non si guarisce 1'autismo, solo si creano premesse e contesti adatti affinché queste persone possano continuare il loro percorso di crescita ed esprimere la loro speciale, talvolta sorprendente, umanità. Non c'è neppure alcuna ‘utopia realizzata'; semplicemente, a certe ‘ condizioni, si può e si dovrebbe fare." (pag. 206)
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